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Interviste RQS: Martin A. Lee su Come la Cannabis Influenzi il Cervello
Ciao! Mi chiamo Martin A. Lee. Sono co-fondatore e direttore di Project CBD, sito no-profit che promuove la ricerca sul CBD e le relative applicazioni terapeutiche. Sono anche uno scrittore e il mio ultimo libro si intitola “Smoke Signals: A Social History of Marijuana”. I miei articoli sono stati pubblicati su numerose riviste, inclusi Washington Post, Harper's, Rolling Stone ed altri.
Come agiscono i cannabinoidi nel cervello? Il governo degli Stati Uniti possiede un brevetto per i cannabinoidi? La cannabis può curare la dipendenza e la depressione? Immergiti nella farmacologia della cannabis e scopri le risposte a queste e molte altre domande insieme all’autore e direttore di Project CBD, Martin A. Lee.
1. Quali vantaggi racchiudono i cannabinoidi per il nostro cervello?
Uno studio condotto nel 1998 analizzò le proprietà neuroprotettive e antiossidanti di CBD (cannabidiolo) e THC (tetraidrocannabinolo). Tale indagine venne effettuata da quattro scienziati, incluso un vincitore del Premio Nobel, e finanziata dal governo statunitense. Al termine della ricerca, gli esperti conclusero che sia il THC che il CBD possedevano proprietà neuroprotettive ed antiossidanti, pertanto proteggevano il cervello dalla degenerazione e da altri danni. In seguito, tale studio divenne la base per un brevetto registrato dal governo statunitense.
Tenete presente che questo brevetto si riferiva sia al THC che al CBD, ma venne rappresentato in modo fuorviante dall'industria del CBD, secondo la quale il brevetto riguardava esclusivamente questo cannabinoide. È importante ricordare che le massime autorità del governo statunitense (in ambito medico) sanno che THC e CBD possono generare effetti positivi sul cervello. Esse sottolineano infatti le capacità protettive di queste due molecole contro ogni tipo di malattia neurodegenerativa, incluso morbo di Alzheimer, demenza e sclerosi multipla.
È interessante notare che questa ricerca moderna conferma alcune nozioni risalenti a 5.000 anni fa, in Cina. Qui la cannabis era parte integrante della farmacopea e considerata un “supremo elisir di immortalità”. Ovviamente, l'assunzione di cannabis non garantiva la vita eterna, ma l'antico popolo cinese aveva compreso che quest'erba conferiva longevità: in pratica, proteggeva dalla demenza senile. Ciò è esplicitamente indicato negli antichi testi di medicina cinese, pertanto assistiamo ad una convergenza tra scienza moderna e saggezza antica.
Tutto ciò mi sembra estremamente positivo. Ritengo sia un ottimo segnale di evoluzione. Secondo alcune inquietanti storie, la marijuana danneggerebbe il cervello, mentre in realtà è praticamente l'opposto. Con questo non voglio dire che si possa fumare o assumere tutta la ganja che si desidera senza sperimentare nessun effetto collaterale negativo. Tuttavia, la cannabis non è più dannosa per il cervello di quanto lo sia, ad esempio, l'alcol per il fegato. Non danneggia le cellule cerebrali, anzi, ha un effetto praticamente opposto.
2. A tal proposito, c'è qualche differenza tra THC e CBD?
I ricercatori hanno scoperto che sia il THC che il CBD sono ciò che gli scienziati definiscono sostanze neurogeniche, ovvero stimolano la creazione di nuove cellule cerebrali nei soggetti adulti. La neurogenesi si verifica ancor prima della nascita, quando il cervello del feto si sviluppa nell'utero. Tale processo rallenta notevolmente dopo la nascita, pur continuando nel corso della vita. Tuttavia, in età avanzata, la neurogenesi può rallentare sensibilmente.
Il rallentamento della neurogenesi è associato alla depressione clinica, ed è proprio qui che entrano in gioco THC e CBD. Questi due cannabinoidi racchiudono proprietà antidepressive, poiché entrambi stimolano la creazione di nuove cellule cerebrali nell'ippocampo. Ancora una volta, non si tratta di semplici leggende create da appassionati di ganja, ma di dati certi, confermati dalla comunità scientifica. Purtroppo, però, le informazioni che circolano nell'ambito scientifico spesso non raggiungono il grande pubblico. Di conseguenza, esistono ancora molti pregiudizi sulla marijuana che pesano come macigni sulla nostra cultura.
3. Quali molecole della cannabis possono contribuire a trattare problemi di dipendenza, traumi e depressione clinica?
Tutte e tre le condizioni, ovvero dipendenza, traumi, e depressione, sono legate ad una carenza di neurogenesi, o a problemi legati all'ippocampo. Quando quest'area non funziona correttamente, può essere associata a numerosi disturbi, tra cui l'alcolismo. Curiosamente, durante alcuni studi condotti negli anni ’50, gli scienziati notarono che le droghe psichedeliche, in particolare l'LSD, erano potenzialmente in grado di gestire condizioni come traumi, dipendenze e depressione.
Tale azione è legata al cosiddetto sistema endocannabinoide. Questo sistema regola un'ampia gamma di processi fisiologici coinvolti in tutte e tre le problematiche. I cannabinoidi come THC e CBD interagiscono con questa rete, producendo diversi effetti. Le sostanze psichedeliche condividono, in parte, lo stesso meccanismo d'azione.
La dipendenza è una condizione complessa e difficile. Analizzando il legame tra CBD e dipendenza, gli scienziati hanno recentemente scoperto che il CBD è potenzialmente capace di modificare la memoria ambientale. Con il termine memoria ambientale, intendo questo: supponiamo che siate dipendenti da una sostanza e decidiate di iniziare un percorso di riabilitazione. Alla fine vi disintossicate completamente, ma poco dopo tornate nello stesso ambiente in cui la vostra dipendenza è iniziata. In molti soggetti, questa memoria ambientale spesso è sufficiente per innescare una ricaduta.
"Dimenticare è un processo essenziale per la salute umana. Se ricordassimo ogni singolo evento vissuto da quando ci svegliamo al mattino a quando andiamo a dormire la sera, impazziremmo."
4. Qual è la funzione di THC e CBD in tale ambito?
Secondo alcuni test su animali, il CBD può spezzare l'associazione tra la dipendenza ed un determinato luogo. Pertanto, potrebbe contribuire ad eliminare la dipendenza.
Sono stati effettuati diversi studi su animali relativi alla dipendenza da cocaina, anfetamina, alcol e persino marijuana. Comunque è un discorso completamente diverso, anche perché alcune di queste ricerche sono davvero pazzesche. Ad ogni modo, i risultati indicano che il CBD potrebbe rivelarsi utile. Questa indagine è stata condotta su cavie animali, e non si può affermare con certezza che uno studio su esseri umani fornirebbe gli stessi risultati.
In Project CBD, riceviamo testimonianze aneddotiche riguardo l'efficacia del CBD nei casi di dipendenza. Ovviamente, la dipendenza da oppiacei è un problema serio. Per questo, oltre al CBD, anche il THC potrebbe risultare utile. Chi ha sviluppato una dipendenza da oppiacei, probabilmente ha iniziato con una prescrizione medica per gestire un dolore fisico. Purtroppo, gli oppiacei non sono molto efficaci nell'attenuare il dolore cronico, quindi è facile entrare in un circolo vizioso nel quale si assumono dosi sempre maggiori, fino ad arrivare, in alcuni casi, ad un'overdose fatale.
Ritengo che questa sia un'altra area in cui i cannabinoidi come THC e CBD potrebbero essere utili. Infatti, sappiamo che, quando viene combinato con oppiacei, il THC riduce la quantità di farmaco necessaria per ottenere gli stessi effetti analgesici. Pertanto, se una sostanza assunta in combinazione con un oppiaceo riducesse la dose necessaria per ottenere i risultati desiderati, il rischio di overdose fatale diminuirebbe. Questo è già un elemento estremamente positivo. Esistono molte ricerche a tal proposito, alcune delle quali sono state pubblicate su projectcbd.org.
5. Che succede quando si combinano oppiacei e cannabis?
Come accennato in precedenza, la cannabis combinata con gli oppiacei riduce la quantità di farmaco necessaria per ottenere un effetto analgesico (antidolorifico). Quando si parla di dipendenza e cannabinoidi, questa è solo la punta dell'iceberg. Hai anche menzionato depressione e traumi: potremmo parlare per ore di queste condizioni, sia individualmente, che in riferimento l'una all'altra, dal momento che sono correlate.
Generalmente, chi è affetto da disturbo post-traumatico da stress, soffre anche di depressione. Sappiamo che i soldati reduci da scenari di combattimento spesso sono afflitti da tremendi ricordi di ciò che hanno visto, fatto e sperimentato in prima persona. Ai tempi della guerra in Vietnam, i soldati tornavano in patria ed iniziavano a fumare ganja, sostenendo che fosse una valida soluzione per alleviare il peso dei ricordi. I farmaci prescritti dai medici spesso si rivelavano inefficaci, e in certi casi favorivano lo sviluppo di dipendenze. Una boccata da uno spinello, invece, sembrava in grado di attenuare il trauma, almeno temporaneamente.
Sono state svolte diverse ricerche su traumi e cannabinoidi. Uno studio, che trovo particolarmente interessante, ha esaminato le potenzialità dei cannabinoidi in caso di disturbo post traumatico da stress, ed è stato condotto da scienziati canadesi poco dopo l'11 settembre, quando i palazzi del World Trade Center a Manhattan vennero distrutti. Quel quartiere è molto popolato, e i ricercatori hanno trovato 50 persone residenti nelle vicinanze che erano state svegliate dal rumore prodotto dai crolli. Circa la metà dei soggetti aveva sviluppato un DPTS, mentre l'altra metà era riuscita a metabolizzare il trauma con più facilità.
Gli scienziati iniziarono quindi ad esaminare la chimica cerebrale dei partecipanti, dividendoli tra chi aveva sviluppato il DPTS e chi no. Alla fine, scoprirono che tutti coloro che soffrivano di DPTS avevano livelli di endocannabinoidi endogeni estremamente bassi. Oltre ad assorbire i cannabinoidi delle piante, il corpo umano può produrre autonomamente i propri cannabinoidi. Queste molecole sono molto importanti, poiché contribuiscono a preservare il delicato equilibrio dell'organismo. Se i livelli di queste sostanze endogene sono troppo bassi, aumenta la vulnerabilità alle malattie.
Bassi livelli di cannabinoidi endogeni sono stati collegati ad alcolismo, DPTS, autismo nei bambini e depressione clinica. Dunque ora sappiamo a livello scientifico perché la cannabis, o una terapia con cannabinoidi, potrebbero rivelarsi utili in caso di trauma o depressione. L'esempio che ho appena descritto è piuttosto eloquente. Nell'esperimento del World Trade Center, nessuno dei componenti del gruppo senza DPTS aveva bassi livelli di endocannabinoidi.
Quando gli è stato chiesto a cosa serva esattamente il sistema endocannabinoide, lo scienziato italiano Vincenzo di Marzo ha risposto: “a cinque cose: mangiare, dormire, rilassarsi, proteggere e dimenticare”. Che tale sistema sia coinvolto nell'alimentazione, nel ciclo sonno-veglia, nel rilassamento e nella protezione (di cui abbiamo già parlato), appare abbastanza logico. Ma l'atto di dimenticare è piuttosto intrigante, e non sembra necessariamente positivo. Tuttavia, se ci riflettiamo un po', dimenticare è un processo essenziale per la salute umana.
Se ricordassimo ogni singolo evento vissuto da quando ci svegliamo al mattino a quando andiamo a dormire la sera, impazziremmo. Dobbiamo dimenticare qualcosa: fa parte del nostro benessere mentale ricordare le informazioni utili, e dimenticare quelle superflue. Purtroppo, chi soffre di DPTS non riesce ad eliminare i ricordi che andrebbero rimossi. Non è in grado di cancellare queste immagini traumatiche. Il sistema endocannabinoide è responsabile dei processi di memorizzazione e rimozione, quindi è essenziale preservare il suo corretto funzionamento. Per fortuna, tale risultato può essere raggiunto assumendo cannabis, praticando esercizio fisico, riposando adeguatamente e seguendo una dieta sana.
6. Per quali specifici trattamenti viene studiata la cannabis?
Al momento, la cannabis viene studiata per diversi potenziali trattamenti. Occorre tenere presente che, quando si parla di cannabis, la comunità scientifica è stranamente divisa. Esistono molti studi preclinici, letteralmente decine di migliaia di ricerche su cannabis e cannabinoidi. Potrei elencarvi tutti gli effetti della cannabis sui ratti. Ma sono state raccolte anche diverse testimonianze aneddotiche, soprattutto dopo che, nel 1996, la cannabis ad uso terapeutico è stata legalizzata in California e in altri Stati.
Oggi riceviamo sempre più dichiarazioni da parte di persone che affermano: “per me la cannabis è efficace per questo problema, ma non fa effetto su quest'altro”. Abbiamo quindi numerose ricerche precliniche e moltissime testimonianze da parte dei consumatori; mancano però gli studi clinici che “dimostrino” l'efficacia della sostanza.
In ambito medico, l'indagine più accurata è quella controllata e randomizzata in doppio cieco. Ma ogni tipo di sperimentazione può fornire risultati importanti. Francamente, non credo che questo sia necessariamente il metodo migliore per determinare l'efficacia della cannabis, poiché è come cercare di inserire un piolo quadrato in un foro rotondo. Un esame dettagliato offre dati concreti sull'efficacia, ma non sono sicuro che questa sia la lente migliore attraverso la quale osservare il meccanismo d'azione della cannabis.
Il team di Project CBD ha utilizzato con successo la cannabis ricca di CBD, inclusa quella contenente notevoli quantità di CBD e THC, per alleviare tre disturbi: dolore, depressione e ansia. Quest'ultima condizione rispecchia il disagio della società moderna. C'è molta apprensione, causata non soltanto dalla pandemia, ma da ogni sorta di stimolo ansiogeno.
Il CBD, in particolare, potrebbe risultare molto utile in queste circostanze. Anche il THC potrebbe fornire un senso di rilassamento, ma la lieve euforia provocata da questa molecola può in alcuni casi suscitare disforia, una sensazione poco piacevole. Il CBD, però, non induce né disforia, né euforia. Non direi che il CBD sia privo di effetti psicoattivi, poiché può influire sul tono dell'umore. Può attenuare la depressione o alleviare l'ansia: è psicoattivo. Tuttavia, il CBD non è una sostanza inebriante, e in realtà può ridurre gli effetti inebrianti del THC.
È essenziale comprendere l'interazione tra THC e CBD. Il grande scienziato israeliano Raphael Mechoulam, autore di importanti studi, ha definito la cannabis come una vera miniera d'oro a livello terapeutico. Questa pianta racchiude infatti moltissime molecole diverse. Il CBD e il THC possono essere considerati i gioielli della corona, tra questo immenso tesoro. Offrono prestazioni ottimali quando agiscono in sinergia. Può sembrare strano, ma il THC rende il CBD ancora più sicuro. Qualcuno potrebbe restare sorpreso, poiché il CBD è già una sostanza molto sicura e non genera sballo. Tuttavia, quando si combinano farmaci e dosi di CBD elevate, possono insorgere dei problemi.
7. C'è qualche differenza nel modo in cui CBD e THC interagiscono con i farmaci tradizionali?
Il CBD interagisce con molti farmaci autorizzati, il che può rivelarsi pericoloso o vantaggioso a seconda della situazione. Ma quando il CBD viene combinato con una piccola dose di THC, la quantità di CBD necessaria per ottenere un effetto terapeutico si riduce notevolmente. Assumendo meno CBD, il rischio di interazioni pericolose diminuisce.
Possiamo anche fare il ragionamento inverso, e dire che il CBD rende il THC più sicuro. In linea di massima, le persone hanno dei limiti con il THC, una sorta di guard rail personale. Chi mangia un edibile e sperimenta uno sballo eccessivo, capisce di aver esagerato leggermente, o parecchio. Possiamo dire che 10 milligrammi di THC è una dose sana, per una persona normale. Ma, quando si parla di CBD, le persone arrivano ad assumerne fino a 500mg al giorno. Di conseguenza, l'interazione farmacologica con il THC è meno probabile, poiché generalmente si assume una quantità inferiore di questo cannabinoide.
Studiando animali affetti da disturbi gastrici, come colite o morbo di Crohn, gli scienziati hanno scoperto che dosi di THC subcliniche sono inutili a livello isolato, ma molto efficaci se combinate con il CBD. Il problema è che alcune persone ottengono uno sballo eccessivo se assumono THC isolato ma, combinandolo con il CBD, riescono a limitare l'effetto psicotropo, utilizzando al tempo stesso una dose inferiore. Quindi i due cannabinoidi agiscono in perfetta sintonia. Potremmo definirli la coppia vincente della cannabis.
8. Possiamo capire, da sintomi fisici, se stiamo sviluppando un'atrofia cerebrale o una depressione causate dal consumo di cannabis?
È improbabile che un individuo sviluppi un'atrofia cerebrale assumendo cannabis. Prima di tutto, l'atrofia cerebrale è sostanzialmente un rallentamento del processo di neurogenesi. Con l'avanzare dell'età, il cervello interrompe la produzione di nuove cellule staminali. Di conseguenza, l'atrofia cerebrale è spesso associata a depressione clinica.
Quando ci si sente depressi, si è spesso indotti a consumare cannabis per risollevare il tono dell'umore. Un profano potrebbe fraintendere e pensare che la cannabis provochi atrofia cerebrale, quando in realtà può trattare o alleviare tale disturbo.
Tale concezione è una vera e propria leggenda. Deriva dal lungo periodo di proibizionismo, e dalle innumerevoli accuse mosse contro la cannabis. Il fatto è che, quando si è già demotivati, si è più propensi ad assumere cannabis. E la ganja potrebbe amplificare questa condizione, ma non è la causa della scarsa motivazione.
Lo stesso discorso vale per le accuse secondo cui la cannabis provocherebbe la schizofrenia. La schizofrenia conclamata emerge verso i vent'anni, ma spesso negli anni precedenti la malattia è già presente, anche se non si manifesta. Questa cosiddetta fase prodromica è caratterizzata da una forte ansia, e spesso induce il malato ad assumere cannabis per alleviare lo stress. Per questo motivo, molte persone considerano la cannabis responsabile di eventuali episodi di schizofrenia.
Stiamo parlando di situazioni complesse, con individui che potrebbero essere considerati dipendenti dalla cannabis—ad esempio, un giovane che fuma tutto il giorno, ha scarse interazioni sociali e un basso rendimento scolastico—ma è la cannabis il vero colpevole o ci sono altre problematiche sottostanti? La ganja viene spesso usata per ottenere sollievo. Personalmente, credo che esistano modi migliori per uscire da una routine deleteria: l'attività fisica, ad esempio, stimola la neurogenesi, così come l'assunzione di determinati alimenti. Tale processo non è supportato soltanto dai cannabinoidi o dalle droghe psichedeliche.
Dobbiamo quindi osservare la questione con attenzione, senza sminuire le difficoltà altrui. Che un individuo utilizzi cannabis o meno, è importante non confondere il suo problema dando la colpa alla cannabis, quando sono presenti altre difficoltà. Non mi piace utilizzare la definizione “Disturbo da uso di cannabis”, perché ritengo che sia un termine medico escogitato per colpevolizzare arbitrariamente la cannabis.
9. Quali rischi comporta l'esposizione alla cannabis in giovane età?
L'esposizione alla cannabis o al fumo in giovane età è considerata deleteria, poiché prima dei venticinque anni il cervello non è ancora completamente sviluppato. Credo che questo concetto sia leggermente fuorviante. Il cervello evolve continuamente. Lo sviluppo non si interrompe a cinque anni, né a venticinque. Però rallenta con l'avanzare dell'età. Pertanto, sconsigliamo ai giovani di assumere cannabis. Tuttavia, la decisione finale spetta al singolo individuo. Gli adolescenti attraversano periodi stressanti e la cannabis può essere molto utile per contrastare lo stress. Ed è più sicura di molte altre alternative.
Qui il problema è soprattutto legale. Detto questo, come ogni altra cosa nella vita, anche la cannabis racchiude alcuni svantaggi. Non credo che possa causare schizofrenia, o compromettere la funzionalità del cervello, ma occorre comunque considerare alcuni aspetti. Prima di tutto, se assumete cannabis regolarmente, ricordate che si tratta di un'erba. Le erbe possono svolgere un'azione astringente, ovvero eliminare i liquidi dall'organismo. Alcune erbe idratano il corpo, alcune lo riscaldano ed altre lo raffreddano. Ebbene, la cannabis asciuga il corpo. I fumatori regolari conoscono bene la sensazione di bocca secca. Quindi, se assumete cannabis con una certa frequenza, ricordatevi di mantenere un'adeguata idratazione. Inoltre, bisogna ricordare che la cannabis può abbassare leggermente la pressione sanguigna.
Nelle moderne società industrializzate, le persone tendono a soffrire di ipertensione. In questo senso, la cannabis può rivelarsi molto utile. Alcuni individui, però, hanno il problema opposto. Chi ha la pressione bassa ed assume una sostanza che abbassa la pressione sanguigna, probabilmente non otterrà effetti piacevoli.
Bisogna tenere in considerazione questi aspetti. È una cosa seria e complessa. Quest'erba genera diversi effetti sul nostro organismo e non possiamo dare per scontato che siano sempre positivi. Quelli che ho descritto poco fa sono solo due esempi. Ma la cannabis può danneggiare il cervello di una persona? No. È sempre un elemento positivo nella vita di un individuo? Non necessariamente. Di tanto in tanto, è preferibile sospenderne il consumo per un determinato periodo? Sicuramente sì.
C'è un meme che circola in rete: “Ho una relazione con la cannabis”. Mi piace, perché credo che il modello di una vera relazione non sia statico. All'inizio, un rapporto sentimentale è entusiasmante ed eccitante, ma con il passare del tempo si trasforma in un nuovo tipo di legame. Tutto evolve continuamente, e nelle relazioni è importante valutare periodicamente come ci si sente. Con la cannabis è più o meno la stessa cosa.
Non sto dicendo che l'erba possa sostituire un rapporto di amore o di amicizia. Ma, se non altro, può aiutare ad intrecciare relazioni umane. È una pianta che favorisce la creazione di una comunità. Ma bisogna sempre assicurarsi che produca effetti piacevoli. Se vi sentite esausti e non riuscite ad ottenere uno sballo soddisfacente come in passato, forse avete bisogno di una pausa di tolleranza. Interrompete il consumo di cannabis per qualche giorno. Premete il pulsante Reset.
Il Dr Dustin Sulak parla proprio della necessità di sensibilizzarsi alla cannabis. I fumatori incalliti, che non intendo giudicare in alcun modo, spesso traggono vantaggio da queste brevi sospensioni e, quando ricominciano a consumare cannabis, ottengono effetti molto più appaganti. Se state utilizzando ganja ricca di THC e con minime quantità di CBD, provate una varietà che contenga sia CBD che THC: ne rimarrete piacevolmente sorpresi. Il CBD riduce l'effetto psicotropo del THC, quindi lo sballo risulta attenuato. Tuttavia, la molecola prolunga la durata degli effetti, quindi lo sballo durerà più a lungo. Ecco un altro aspetto della relazione con la cannabis: è possibile sperimentare liberamente e, in questo senso, non è mai un rapporto statico.
"Gli adolescenti attraversano periodi stressanti e la cannabis può essere molto utile per contrastare lo stress. Ed è più sicura di molte altre alternative."
10. Come possiamo introdurre la cannabis terapeutica nella nostra vita se non l'abbiamo mai consumata prima d'ora?
Credo che questo sia uno dei pregi del CBD. Per chi ha appena scoperto il mondo della cannabis, il CBD è un ottimo punto di partenza, per diversi motivi. A causa dei pregiudizi che circondano la cannabis, molte persone non avrebbero mai pensato di utilizzare il CBD. Ma poi hanno sentito parlare di questo cannabinoide, ed hanno scoperto che non è necessario fumare la pianta, o sballarsi, per trarne beneficio. La cannabis può essere consumata per fini terapeutici e per qualsiasi altro scopo. L'elemento chiave è la proporzione tra CBD e THC.
Il CBD è privo di effetti inebrianti, e può neutralizzare gli effetti psicoattivi del THC in base alla quantità di cannabinoide presente in un determinato prodotto. Se le dosi di THC e CBD si equivalgono, otterrete sicuramente uno sballo. In passato, la cannabis possedeva uguali quantità di CBD e THC, poi il breeding selettivo si è concentrato sull'incremento dei livelli di THC. Molte persone, incluso me, adorano queste varietà particolarmente potenti. Ma credo valga la pena assaggiare anche varietà più equilibrate.
Il CBD è un ottimo punto di partenza per i principianti, anche se io consiglio sempre di abbinarlo ad una piccola dose di THC per migliorarne gli effetti. Una minima quantità di THC non genera alcuno sballo, ma può comunque risultare benefica per l'organismo. Quando sperimentate con la cannabis, iniziate lentamente e con piccole dosi. Aumentate le quantità in modo graduale. Tuttavia, come dice il proverbio: “Iniziate con calma e a piccoli passi. Ma non abbiate paura di andare fino in fondo”. Infatti, a volte serve una dose superiore per ottenere gli effetti desiderati. Anche coloro che non vogliono sballarsi, mentre sperimentano diversi approcci con la ganja possono sballarsi leggermente, e spesso trovano divertente questa esperienza. Quindi, il CBD può rappresentare una via d'accesso al THC, ma in senso innocuo, poiché non è una sostanza nociva. Può rivelarsi estremamente utile. E anche lo sballo può racchiudere un valore terapeutico.